Cristiano Ronaldo e il rugby: è questione di etica

6 Dicembre 20160

Sono concetti che conosciamo bene, ma non è mai tempo perso il ribadirli spesso, affinché ce ne ricordiamo sempre: in campo, a bordo campo, sugli spalti.

 

Dopo una partita di calcio giocata dal Real Madrid in Bulgaria con il Ludogorest, Cristiano Ronaldo ha dichiarato che gli era sembrato un match di rugby per via dei “colpi” ricevuti in campo.

Fermin de la Calle, giornalista e rugbista spagnolo che vive e lavora a Madrid, gli ha dedicato una lunga lettera. Merita di essere letta sino in fondo.

“Caro Cristiano,

ti scrivo in quanto giocatore di rugby. A mio parere mercoledì scorso hai fatto alcune sfortunate dichiarazioni al termine di una partita “che invece di calcio sembrava rugby” perché un avversario ti ha scalciato da dietro senza pensare al pallone. Volevo chiarirti che nel rugby è assolutamente proibito scalciare un avversario e che qualsiasi tipo di aggressione è sanzionata con l’espulsione diretta. Vorrei anche dirti che il giocatore espulso, oltre ad essere punito dal suo club e dalla giustizia sportiva, negli spogliatoi chiede scusa ai propri compagni per averli lasciati in inferiorità numerica e aver rovinato il lavoro di tutta la settimana. Per noi le partite si giocano durante la settimana (con gli allenamenti), e nel fine-settimana si fanno le mete”.

“Il rugby è uno sport di contatto, duro e aggressivo, però mai violento. Nel rugby esistono alcuni codici di condotta onorevole che tutti rispettiamo scrupolosamente, per cui non vedrai mai un rugbista simulare una mancanza o una aggressione. Si racconta che l’unica bugia permessa al giocatore di rugby sia quella detta al medico per poter restare in campo. Sabato un giocatore ha ricevuto un colpo al volto, si è rotto lo zigomo ma ha continuato a giocare per un’ora per non mettere in difficoltà la propria squadra”.

“Avrai notato che sulle nostre maglie ci sono numeri, che indicano il ruolo, ma non i nomi, perché non è importante chi le indossa. L’importante è che chi le indossa ‘faccia il suo lavoro, solo il suo lavoro, tutto il suo lavoro’.  Per questo quando facciamo una meta nessuno la celebra sottolineando il proprio nome: la festeggiamo insieme ai compagni, responsabili che il pallone ci arrivi sempre nelle migliori condizioni, Per questo non abbiamo Palloni d’Oro né capocannoniere.

Inoltre chiamiamo l’arbitro “signore”, con lui parlano solo i due capitani e mai lo incolpiamo della nostra sconfitta, perché siamo coscienti di avere fatto più errori di lui”.

“Vorrei dirti che le nel rugby comanda la continuità, che la filosofia del gioco è che il pallone sia sempre vivo. Per questo – quando vedi un placcaggio – il placcatore lascia il placcato al momento di cadere e il placcato lascia la palla al suolo per liberarla. Nel rugby il pallone deve sempre stare in gioco perché al finale dell’incontro si compia il primo comandamento del nostro sport: vince sempre il migliore. L’anti-gioco è perseguito severamente e punito in maniera esemplare, per questo non vedrai mai rugbisti perdere tempo o simulare infortuni. Esiste la figura della ‘sostituzione per sangue’, ma il ferito – una volta curato – torna in campo per quanto complicata sia la lesione, per tornare ad aiutare i compagni”.

“Nel rugby, il rivale è avversario in campo e compagno fuori dal campo. Mai nemico, perché abbiamo in comune una passione e un codice di condotta che rispettiamo oltre il terreno. E’ per questo che facciamo il ‘corridoio’ agli avversari, in caso di vittoria o sconfitta, e dividiamo qualche birra nel terzo tempo dopo aver lasciato la pelle sul campo. Per tutto questo, Cristiano, credo che la tua dichiarazione sia stata sfortunata, nel senso che non conosci il nostro sport. Ti invito a venire ad una partita di rugby, dove e quando vuoi, Sarai sempre benvenuto, tu come chiunque altro. E naturalmente sei invitato a bere con noi qualche birra nel terzo tempo. Salute, e rugby”.

(da “Terzo tempo”, blog rugbistico di “Repubblica”

 

 

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